diario di un aborto spontaneo
Vorrei cominciare questo articolo, molto personale e delicato, con i motivi che mi hanno spinto a scriverlo. Sono sempre stata abbastanza restia a parlare delle mie cose intime e private pubblicamente sui social e specialmente su questo argomento cosí delicato ci ho pensato molto. Ultimamente sto esplorando e scoprendo il potere di mostrare la mia vulnerabilità nel modo più onesto e autentico possibile e questo processo mi ha aperto molti canali di connessione e liberazione.
Ho deciso di scrivere e condividere queste parole per diversi motivi: intanto perchè mi sono resa conto che per me è terapeutico scriverne e parlarne. E poi perché vedo in ogni dolore che sono chiamata a vivere in questa vita una risorsa per aiutare gli altri. Quando ho capito quello che mi stava succedendo il mio bisogno più grande è stato quello di ascoltare o leggere le testimonianze di chi prima di me ci era passata, ma non sono riuscita a trovarne nessuna che mi abbia trasmesso quello che cercavo. Credo che questo sia l’articolo che avrei voluto leggere il giorno che ho capito che la mia gravidanza si stava interrompendo e che quella vita che era appena nata si stava spegnendo e che all’improvviso ho provato così tanta tristezza.
E poi anche perché in questi momenti non dobbiamo fare tutto da sole: è quando più abbiamo bisogno di una comunità intorno a noi, ma se non siamo noi le prime ad aprirci ed essere disposte a ricevere il supporto altrui questo non potrà mai arrivare.
Detto questo non saprei esattamente da dove cominciare. Forse dal fatto che verso inizio maggio sono rimasta incinta. Ancora prima di fare il test già ne ero sicura e osservavo i cambiamenti del mio corpo con curiosità e meraviglia. Fin da subito ho iniziato a sentirmi diversa, sentivo in atto una trasformazione profonda, oltre che una stanchezza e una poca lucidità mentale che non avevo mai provato prima. Ero così contenta e mi sentivo così diversa da pochi giorni prima che avrei voluto dirlo a tutti quelli che incontravo. Ti dicono tutti di aspettare i primi tre mesi a dirlo in giro, immagino perchè in caso la gravidanza non vada a buon fine (cosa molto più comune di quello che si pensi) tu non debba diffondere la notizia, molto più triste, che qualcosa è andato storto, che per molte donne rappresenta motivo di senso di colpa, vergogna e senso di aver fallito o di non essere stata all’altezza.
Anch’io all’inizio non l’ho detto quasi a nessuno, anche se il mio compagno non stava nella pelle e lo aveva già detto ai suoi genitori e ad alcuni amici. Poi dopo una decina di giorni da quando l’ho scoperto ho deciso di dirlo ai miei genitori e alle mie amiche più care, con cui mi trovavo ad un addio al nubilato a Bari e alle quali non avrei comunque potuto nascondere il fatto che per l’intero fine settimana non avrei toccato alcolici. Esattamente il giorno dopo, il 3 giugno, ho iniziato ad avere delle perdite di sangue, che sono state l’inizio dell’interruzione della mia gravidanza. Sinceramente non so come avrei fatto se avessi deciso di tenere tutto per me e non avessi avuto intorno persone che sapevano, che mi hanno tranquillizzata sul fatto che non potesse essere colpa mia, che hanno ascoltato le mie preoccupazioni, che mi hanno abbracciato quando volevo piangere e che mi hanno supportata psicologicamente e materialmente accompagnandomi all’ospedale e facendomi sentire la loro presenza.
Gli Arcani Maggiori che mi sono usciti il giorno che sono tornata a Firenze. A me parlano in modo molto chiaro di una gravidanza (L’Appeso) che si ferma (La Ruota della Fortuna) e del bisogno di far fluire e lasciare andare, guarendo e prendendosi cura con dolcezza del proprio utero (vedete l’angelo della Temperanza che fa fluire l’acqua proprio davanti al grembo).
Mi sono resa conto di quanto io avessi il bisogno di parlarne e di quanto invece questo argomento fosse un tabù. Raccontando ciò che mi era successo tante donne, la maggior parte adesso con figli, mi hanno raccontato che ci erano passate anche loro ma che non ne avevano mai parlato molto. Nel mio caso invece ho proprio sentito che più condividevo ciò che mi era successo più io guarivo e mi aprivo a ricevere il supporto degli altri.
La prima volta che sono andata a farmi vedere all’ospedale di Bari, a parte un po’ di perdite, che comunque sembra possano succedere, sembrava tutto ok. Ma la verità era che io già lo sapevo che non lo era. Era come se da un giorno all’altro tutto il cambiamento che il mio corpo stava vivendo e che io stavo ascoltando con così tanta attenzione fosse sparito. Come se non fosse mai successo niente. Ho dovuto aspettare qualche giorno per avere la diagnosi definitiva, ma dentro di me già lo sapevo dal primo momento che quella vita non c’era più. Inutile dire che la prima cosa a cui ho pensato era che fosse stata colpa mia, di essermi stancata troppo, di aver sbagliato a prendere un aereo per andare a Bari, di non essermi presa abbastanza cura di me. Poi per fortuna le mie amiche mamme che erano con me, di cui una medico, mi hanno tranquillizzato su come in questa fase così iniziale non può dipendere dal comportamento della mamma ma si tratta semplicemente di una selezione naturale. Il nostro corpo è così intelligente da capire se l'embrione ha tutte le carte in regola per diventare un bambino sano. In caso contrario interrompe la gravidanza e lo espelle. Se ci penso mi sembra un meccanismo meraviglioso e non posso che provare gratitudine per la saggezza della natura che, per quanto a volte possa sembrare crudele, agisce sempre nel modo migliore. Vista in questa prospettiva e considerato il fatto che l’obiettivo finale è quello di mettere al mondo un bambino/a sano nel modo più naturale possibile, quello che mi sembrava un terribile fallimento diventava una benedizione.
Si trattava di un invito ancora più profondo ad abbandonarmi a qualcosa di più grande, lasciare andare la voglia e il bisogno di controllare, avere fiducia nella saggezza del corpo e di quel qualcosa di più grande che vive dentro e sopra di noi.
È stata senza dubbio la lezione più grande che abbia ricevuto di fiducia e abbandono. Saremo sempre chiamate a vivere difficoltà e dolore sul nostro cammino, ma ciò che fa la differenza è il modo in cui lo affrontiamo e la narrazione che costruiamo di noi stesse e di ciò che ci succede. Lavorare su noi stesse ci permette di trasformare il modo in cui percepiamo la realtà esterna e usare le sfide che incontriamo come strumento di arricchimento ed evoluzione.
Mentre ero a Bari ho comprato un nuovo mazzo e per diversi giorni di fila mi è continuata ad uscire questa carta.
Nonostante avessi raggiunto questa consapevolezza abbastanza presto e sapessi che non ci fosse niente da fare se non aspettare di vedere come procedeva, ho iniziato a leggere online tutto quello che potevo, cercando di capire cosa mi stava succedendo e perché. La tentazione di cercare di capire, trovare una spiegazione, fare qualcosa per interferire e accelerare i tempi di guarigione era incontrollabile ma comunque vana. In quel momento ero completamente impotente e non c’era niente che potevo fare per cambiare la situazione.
Poi, una volta che non c’erano più dubbi su quello che era successo, sono stata assalita da una tristezza immensa, una tristezza così profonda che sembrava antica, sembrava non essere solo mia ma essere di tutte le donne che ci sono passate, di tutte le donne che vogliono essere mamme ma che per qualche motivo ancora non ci sono riuscite. Subito dopo essere tornata a Firenze, dove ero sola perché Ben era temporaneamente tornato ad Amsterdam, per un giorno ho avuto solo voglia di essere triste e stare sul divano a piangere. E per fortuna me lo sono concessa perchè era quello di cui avevo bisogno. Credo che sia molto importante rivendicare il proprio bisogno di stare con la propria tristezza. Per anni io ho cercato di respingerla, ignorarla, contrastarla, mentre adesso apprezzo la bellezza di accoglierla, riconoscerla e concedergli il suo spazio.
Non dobbiamo sempre stare bene, essere felici, dare del nostro meglio, farci vedere nella nostra migliore forma. Abbiamo il diritto di sentirci tristi e stanche, di non avere voglia di fare niente o di vedere nessuno, di provare quel senso di vuoto in cui niente sembra avere senso.
Dopo questa giornata di tristezza immensa infatti mi sono svegliata rigenerata, come se una parte di me fosse in qualche modo morta e rinata. E devo dire che alla fine, nonostante non sia stato facile, sono prevalse la fiducia e la gratitudine che tutto va sempre come deve andare e che questo bambino/a arriverà quando sarà il momento giusto. Ho iniziato a ricevere tantissimi segni dall’Universo di avere fiducia e pazienza e che tutto sarebbe andato bene. Il senso di perdita ha lasciato il posto a un senso di arricchimento per quella vita che, anche se per poco, ci è stata facendomi rendere conto di quanto la desiderassi veramente.
Poi mi sono ricordata che anche mia mamma, prima di avere me (che sono la terza e ultima) ha avuto un aborto spontaneo e che se questo non fosse successo io oggi non sarei qua. Da anni ormai, tutti i giorni, alla fine della pratica tra i vari ringraziamenti che faccio ringrazio tutti i miei antenati e i bambini mai nati prima di me, che mi hanno permesso di essere qua. Adesso nei miei ringraziamenti c’è anche questo piccolo semino che ha iniziato a preparare il terreno e a creare spazio per questo nuova fase.
Insieme possiamo cambiare il modo di vivere e vedere le cose, liberandoci dal senso di vergogna, fallimento e senso di colpa di cui da sempre le donne si fanno carico. Possiamo iniziare ad aprirci condividendo le nostre esperienze di modo che possano essere una risorsa per le altre e sostenerci a vicenda. Se conosci qualcuna a cui pensi faccia bene leggere questo articolo, mandaglielo con amore, in segno di solidarietà e sorellanza.
Il giorno dopo essere tornata a Firenze ho partecipato ad una cerimonia con una curandera messicana nel bosco. Durante una pratica di connessione con un albero gli ho chiesto di mandarmi un segno e abbassando la testa, ho trovato questo corno di capriolo proprio tra i miei piedi e le radici dell’albero.